Occhio a cosa scrivi su Facebook, Twitter & co: ogni informazione inserita può valere come prova

Negli ultimi mesi i giudici sono tornati ad occuparsi di Facebook e dei social network, fornendo ad avvocati e utenti nuove regole di condotta.

Post offensivi

Anche se la parte offesa ha impostato i meccanismi di difesa della privacy, rendendo visibile la bacheca Facebook solo agli “amici”, la condotta di chi posta un contenuto offensivo sulla bacheca altrui integra comunque il reato di diffamazione aggravata di competenza del tribunale monocratico.

Per i giudici anche un messaggio diffuso a una ristretta cerchia di “amici” ha potenzialmente la capacità di raggiungere un numero indeterminato di persone, proprio perché il mezzo usato valorizza il rapporto interpersonale, senza il quale la bacheca Facebook non avrebbe senso.
(Corte di cassazione, I Sezione penale, sentenza 8/6/2015 n. 24431).

Prove per una separazione

Attenzione alle prove carpite illegittimamente. Da Livorno i giudici mettono in guardia. Nei giudizi di separazioni non si possono produrre le pagine Facebook ottenute “violando” i profili social del coniuge, anche nel caso in cui se ne conosca la password o l’account venga lasciato incustodito.

I reati configurabili vanno dalla violazione di corrispondenza fino all’accesso abusivo a un sistema informatico e alle interferenze illecite nella vita privata. Le prove saranno pertanto dichiarate inammissibili.

Non costituisce documento utile ai fini probatori una copia di “pagina web” su supporto cartaceo che non risulti essere stata raccolta con garanzia di rispondenza all’originale e di riferibilità a un ben individuato momento.

Le prove sono ammissibili se nel bilanciamento tra diritto alla privacy e diritto di difesa, prevale quest’ultimo, in quanto la produzione è essenziale a provare i fatti.

C’è poi la questione della tracciabilità della prova informatica: ai fini della corretta acquisizione della digital evidence è necessario poter tracciare lo stato di un reperto, ovvero la relativa metodologia di custodia e di trasporto, come ribadito in più occasioni dalla dottrina e dalla giurisprudenza di legittimità.
(Tribunale di Livorno, sentenza 17/1/2013 n. 94).

Sequestro con oscuramento pagina Web

Le Sezioni unite della Corte di cassazione hanno anche chiarito che è ammissibile il sequestro preventivo mediante oscuramento di una pagina web, a meno che non si tratti di una testata telematica registrata (Corte di cassazione, Sezioni unite sentenza 17 luglio 2015 n.31022).

Dal 2014 la Corte di cassazione ha però ribadito il principio di non eccedenza anche in ambito informatico. Si può sequestrare soltanto quanto strettamente pertinente al reato (articolo 275 del Codice di procedura penale).

Sarà legittimo il sequestro preventivo di un intero dominio internet solo quando risulti impossibile, con adeguata motivazione in merito, l’oscuramento di un singolo file o frazione del dominio stesso (Corte di cassazione, sezione III, sentenza del 17 maggio 2014, n.21271).

Diritti sulle fotografie postate

Chi pubblica “contenuti IP” su Facebook non ne cede la proprietà che resta in capo all’utente, ma solo la sola licenza non esclusiva.

Ne deriva che terzi non possono utilizzano le fotografie postate senza rispettare il diritto patrimoniale e morale d’autore.

La regola vale anche per le fotografie semplici, cioè noncreative.
(Tribunale di Roma,sentenza 1/6/ 2015 n. 12076)

Recensioni e diffamazione

Le recensioni di cui l’autore non riesca a provare la genuinità hanno carattere diffamatorio in quanto non frutto di reale esperienza e, quindi, preordinate a danneggiare l’utente.

Il portale, deve perciò rimuovere i contenuti offensivi, in quanto responsabile per mancato controllo delle informazioni “smistate”.
(Tribunale di Venezia, III sezione civile, ordinanza 24/2/2015)

Datori di lavoro e profili dei dipendenti

Il datore di lavoro può creare un falso profilo Facebook per controllare gli atti illeciti di un dipendente, attenendosi a un modo di accertamento dell’illecito del lavoratore non invasivo né induttivo all’infrazione, in quanto mera occasione cui il lavoratore ha consapevolmente aderito.
(Cassazione, sentenza 27/5/2015 ,n. 10955)

I tempi per una querela

Il termine di 90 giorni per la querela decorre da quando il diffamato dà prova di aver percepito l’offesa pubblicata sul social network.

La decadenza del diritto alla querela deve essere accertata con criteri rigorosi. L’incertezza si risolve a favore del querelante.
(Cassazione, sentenza 25/3/2015 n. 12695)